raffaele solaini
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Mentre coloro che si occupano professionalmente di sondaggi si interrogano – come ogni ricercatore scientificamente consapevole dovrebbe fare – circa l’adeguatezza dei propri metodi e la rappresentatività delle rilevazioni che se ne traggono, nei salotti televisivi irrompe il Sondaggio, inteso come oggettiva rappresentazione degli umori profondi e delle opinioni della gente. La vox populi, entità astratta e multiforme, composizione necessariamente artificiale di tante idee quante sono le persone intervistate, diventa un blocco solido e unitario. In modo non diverso da molte pubblicità che fanno riferimento a improbabili test clinici, spesso inadatti a garantire le qualità celebrate del prodotto, la presenza dell’esperto sanziona infine, ben oltre le sue possibilità scientifiche, la verità di dati e percentuali, pronti a prendere posizione sul palcoscenico della contesa politica.

L’importanza di conoscere e di fare riferimento alle opinioni più largamente condivise è ben nota a chi voglia sostenere le proprie tesi con qualche speranza di successo. Un discorso che contraddicesse credenze diffuse apparirebbe innanzitutto stravagante, ma anche irrispettoso di un sapere sedimentato, così come dei suoi interpreti, la maggioranza della gente. Fra le diverse autorità che è possibile citare (filosofi, uomini di chiesa, specialisti nelle diverse discipline), il comune sentire, quando sia semplicemente denominato «buon senso», manifesta la propria pretesa a prevalere come arbitro supremo, espressione di un sano e retto uso della ragione. Ciò vale a maggior ragione per i politici, per i quali l’opinione comune costituisce l’interlocutore naturale, così come il potere dal quale ricevono l’investitura. Citando da un semiologo francese contemporaneo (Eric Landowski, La società riflessa, Meltemi), «si sarebbe tentati di dire che è “uomo politico” colui che dice “opinione pubblica”».

La presenza sulla scena dell’esperto di sondaggi risponde quindi ad una fondamentale esigenza scenografica: mostra e completa le condizioni entro le quali si svolge il dramma argomentativo. Egli dà voce al pubblico in sala, muto e altrimenti incapace di interpretare il ruolo del quale è investito, ponendo i temi che i politici sono tenuti ad affrontare, le questioni alle quali occorre dare risposta. Interpreta le opinioni della maggioranza e le rivolge ai governanti, interpellandoli da una posizione di particolare prestigio, quasi fosse l’oracolo della suprema autorità democratica. Sulla sponda opposta interviene il conduttore, che svolge un ruolo simmetrico: interpreta e guida il discorso dei politici, traducendolo a favore del pubblico. L’esperto di sondaggi e il conduttore, al fondo, dialogano fra di loro. Entrambi leggono testi che richiedono un’azione interpretativa; da un lato, quello della gente, che necessita di un principio di organizzazione attraverso il quale manifestarsi, dall’altro quello dei politici, che occorre interrogare. Il loro compito è quello di fare parlare i due testi e di metterli in contatto.

Fra l’opinione della gente rivelata dai sondaggi e l’opinione della gente manifestata attraverso le domande opportunamente poste dal conduttore, lo spazio di parola del politico rischia di restringersi. Egli fatica a difendere il proprio ruolo interlocutorio, e perde la sua autonomia, ove sia costretto a replicare alle domande che il rappresentante del buon senso gli rivolge attraverso le risposte che il senso comune si attende da lui. La possibilità reale di discussione viene allora meno, sostituita da una strategia argomentativa intesa solo ad assecondare e a riflettere le attese. Il politico si colloca così in una posizione di scacco strutturale, dalla quale può uscire solo ribaltando i rapporti di forza. Piuttosto che appiattire le proprie posizioni su quelle presumibilmente più popolari, egli provvede a costruire un’immagine della pubblica opinione funzionale ad accreditare le sue tesi e a sostenerne le strategie, sperando poi che la reale opinione della maggioranza voglia aderire al simulacro che egli ne propone.
Rappresentata sulla scena attraverso statistiche e percentuali, l’Opinione è costituita da certezze condivise da gruppi variamente ampi di persone, che si fronteggiano sulla base della loro relativa forza numerica. Ciascuna posizione non mostra cedimenti o differenziazioni al proprio interno. Costruiti attraverso la logica della scelta multipla, alle volte sulla base di una semplicistica opposizione binaria, si cristallizzano giudizi contrapposti con artificiale rigidità, che non sono in condizione di dialogare fra loro. Il calcolo delle percentuali non indica, né può indicare, il grado di attendibilità, l’intrinseca ragionevolezza delle tesi in campo, ma solo la diversa forza di cui sono accreditate. L’Opinione della maggioranza si impone infine, forte dei numeri, come verità con la quale occorre fare i conti.

“Opinione”, termine cercato su un dizionario, piuttosto che nome dato al protagonista di una spettacolare tenzone dialettica, significa però ipotesi, ciò che si ritiene pur senza averne la certezza, dubbio. Soprattutto, opinioni sono credenze sfumate, prospettive plausibili, delle quali si riconosce la parzialità: da un certo punto di vista si potrebbe sostenere una tesi, ma, certo, da un altro, anche l’idea contraria apparirebbe giustificata. Così intese, le opinioni rimandano ad un universo di valori, chiedono di confrontarsi con sistemi assiologici alternativi, entro i quali guadagnare coerenza e un possibile fondamento. Alla logica numerica e quantitativa del normale, capace solo di produrre astratte generalizzazioni, si sovrappone il principio qualitativo della norma, attraverso la quale diventa possibile spiegare, giustificare o criticare le diverse posizioni, così come tentare una loro sintesi.

Su questo presupposto si ridefinisce lo spazio proprio di un discorso politico che non sia timidamente o strumentalmente appiattito su indiscutibili opinioni maggioritarie, né aristocraticamente scisso dal senso comune, connotato solo per la sua grossolanità. L’uomo politico riguadagna la postazione sulla scena, consapevole del proprio ruolo di interprete della società e coautore di uno spettacolo cui partecipa attivamente. Autore significa anche autorevole, e quindi capace di confrontarsi con l’autorità suprema entro un regime democratico: l’opinione comune, spesso rappresentata attraverso i sondaggi.

L'IMPERO DEI SONDAGGI
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(Caffè Corretto)